Condanna definitiva per cinque alti comandanti serbo-bosniaci davanti al Tribunale penale internazionale per la ex-Iugoslavia


Il 30 gennaio 2015, una Camera di appello del Tribunale penale internazionale per ex-Iugoslavia ha reso la sentenza nell’Affare Popovič et al., condannando definitivamente cinque alti comandanti militari serbo-bosniaci per crimini commessi nel luglio 1995 a seguito dell’occupazione delle aree, protette dalle Nazioni Unite, di Srebrenica e Zepa.

La sentenza è stata resa con alcune opinioni dissidenti e alcune opinioni individuali.

V. Popovič, Capo della sicurezza del Corpo della Drina Corps delle truppe armate della Republika Srpska (VRS), e L. Beara, Capo della sicurezza dello Stato Maggiore della VRS, si sono visti confermata la condanna di prima istanza all’ergastolo per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi mediante la partecipazione, con altri co-accusati o accusati in altri affari, a un’“impresa criminale comune” (JCE). La Camera di appello ha però modificato in parte le conclusioni di prima istanza, assolvendo i due militari, con il dissenso del giudice Niang, per uno degli eventi di cui essi erano accusati, e cioè l’assassinio di sei bosniaci-musulmani nei pressi di Trnovo. La condanna all’ergastolo è però rimasta immutata perché la Camera di appello li ha ritenuti responsabili, oltre che per commissione dello stesso crimine, come in prima istanza, anche – diversamente dalla prima istanza e sempre con il dissenso del giudice Niang – per cospirazione del genocidio. Il giudice Pocar, pur d’accordo con la determinazione della loro responsabilità per cospirazione, ha però dissentito sulla pena per siffatta responsabilità, in applicazione del diritto dell’imputato alla poena mitior, che vieterebbe altresì di aumentare la pena in ragione di una nuova condanna in appello, opinione che più volte egli aveva già avuto occasione di esprimere. Il giudice Robinson ha espresso il suo dissenso sulla prova accertata in prima istanza, e confermata in appello, della presenza di Popovič sui luoghi delle esecuzioni di massa del 16 luglio 1995. A suo dire tale presenza non sarebbe stata provata al di là di ogni ragionevole dubbio.

R. Miletič, Capo delle operazioni e della gestione dell’addestramento dello Stato Maggiore della VRS, è stato condannato per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi sempre nel quadro della partecipazione alla JCE. È stata tuttavia annullata la sua condanna in prima istanza per persecuzione e trasferimento forzato di uomini bosniaco-musulmani che in fuga da Zepa attraversarono il fiume Drina. Si è peraltro aggiunta, con il solito dissenso del giudice Pocar riguardo alla pena, la condanna per le uccisioni “opportunistiche” a Potočari di adulti bosniaco-musulmani. La condanna a 19 anni è stata ridotta di un anno perché si è considerato, all’unanimità, che il fatto di usare della sua autorità tra le forze militari serbo-bosniache (VRS) non potesse ritenersi una circostanza aggravante nella determinazione della sua pena, come invece era stato ritenuto in prima istanza.

Contro D. Nikolič, Capo della sicurezza della Brigata Zvornik della VRS, è stata confermata la condanna di prima istanza a 35 anni per complicità nella commissione – nel contesto della stessa JCE – del genocidio, di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, sebbene anche lui sia stato assolto per le uccisioni nei pressi di Trnovo, sempre con il dissenso del giudice Niang.

Infine, con riguardo a V. Pandurevič, Comandante della Brigata Zvornik della VRS, la Camera di appello ha annullato alcune condanne di prima istanza, ma la pena non è stata ridotta perché si sono decise nuove condanne, con il dissenso del giudice Niang, per complicità e responsabilità di comando rispetto all’omicidio quale crimine di guerra, allo sterminio e alla persecuzione quali crimini contro l’umanità. Anche qui, naturalmente, si è avuto il dissenso del giudice Pocar sulla pena inflitta per le nuove condanne in appello.

Si tratta di una sentenza particolarmente importante nella determinazione definitiva delle responsabilità dei militari serbo-bosniaci per il piano ideato, pianificato ed eseguito di espellere tutta la comunità bosniaco-musulmana dalle aree protette di Srebrenica e Zepa e di sterminarne i componenti uomini in armi: una sentenza di particolare rilevanza anche per il numero dei comandanti militari condannati per il genocidio di Srebrenica (finora era divenuta definitiva per questo genocidio solo la condanna di un altro comandante, Krstič).