
Nella serata dell’11 luglio è stata firmata la bozza di accordo di pace volto alla creazione di un governo di conciliazione nazionale in Libia sul cui testo i diversi gruppi rappresentanti del popolo libico si erano accordati già in data 2 giugno. Il testo rappresenta il punto di arrivo del processo negoziale promosso dalla UNSMIL (United Nations Support Mission in Libya) iniziato a Ginevra e proseguito a partire dalla primavera del 2015, a Skhirat, in Marocco. La bozza finale è stata firmata dai delegati del governo libico di Tobruk, riconosciuto a livello internazionale, dai rappresentanti locali delle municipalità di Misurata, della zona centrale di Tripoli, nonché di Sebha, Ajdabiya, Emsalata e Zliten; ma anche da figure politiche di spicco come il leader del Justice and Construction Party (JCP, braccio politico della Fratellanza musulmana) Mohamed Sawan; ed Hafez Ghaddour Hafez per la National Forces Alliance (NFA), la coalizione liberal-moderata che detiene la maggioranza relativa nel parlamento libico “ufficiale”, la Camera dei rappresentanti di Tobruk.
Non erano tuttavia presenti alla cerimonia per la firma del progetto di accordo i rappresentanti del GNC (General National Congress), il parlamento con sede a Tripoli, in cui i partiti a vocazione islamista detengono una posizione di forza, e che ha guidato la fase iniziale della transizione successiva al crollo del regime di Gheddafi, senza tuttavia riuscire a raggiungere l’obiettivo di dare al paese una nuova costituzione democratica. Sostituito nell’agosto 2014 dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk, sostenuta dalla comunità internazionale, alla guida del processo di transizione democratica del paese, il GNC non ha mai riconosciuto tale avvicendamento, rifiutandosi si riconoscere la legittimità unica della controparte nel corso dei negoziati tra le varie fazioni in conflitto in Libia. Su questa base, i delegati del GNC hanno abbandonato i negoziati per l’accordo lo scorso 7 luglio, rifiutandosi di tornarvi nei giorni successivi, lamentandosi per la mancanza di disponibilità della missione UNSMIL nei confronti delle richieste di emendamento dell’ultima bozza circolata (quella del 2 giugno) presentate. Tra le condizioni poste dal GNC per il ritorno a Skhirat al Rappresentante speciale del Segretario generale dell’ONU Bernardino León meritano particolare attenzione la disponibilità a discutere le modifiche al testo proposte, nonché il riconoscimento dello stesso GNC quale legittimo parlamento dello Stato libico, al posto della citata Camera dei rappresentanti con sede a Tobruk.
Il Rappresentante speciale del Segretario generale dell’ONU Bernardino León, dopo aver commentato positivamente il raggiungimento dell’accordo, sottolineando come esso rappresenti “a very important step on the road to peace”, attraverso il quale le parti coinvolte “are laying the foundation for a modern, democratic state based on the principle of inclusion, the rule of law, separation of powers and respect for human rights”, ha fatto appello ai rappresentanti del General National Congress affinché tornino sui propri passi e ricompongano il consenso dei rappresentanti del popolo libico sull’accordo, sottolineando in particolare che “The door remains open for them to join”; e dicendosi infine fiducioso che le voci più moderate all’interno dell’assemblea di Tripoli interpreteranno le richieste di pace provenienti dal popolo libico, che infine prevarranno.
Accanto alle dichiarazioni di León, in un comunicato congiunto gli ambasciatori e inviati speciali in Libia di 11 paesi (Canada, Francia, Germania, Italia, Marocco, Portogallo, Russia, Spagna, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti) hanno preso atto con favore dell’accordo. Tali governi hanno tuttavia sottolineato il carattere definitivo della bozza, lanciando così un segnale piuttosto chiaro agli intenti revisionistici del GNC. Inoltre, nel comunicato si fa riferimento ad “appropriate actions” che saranno intraprese nei confronti di coloro che hanno tentato di fermare il processo di dialogo, portando il paese verso i rischi dell’instabilità e dell’estremismo.
Anche l’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini è intervenuto sul punto, definendo l’accordo un passo importante per la stabilità e la pace in Libia, unendosi alla richiesta al GNC di mostrare lo stesso spirito di responsabilità e consenso, e sottolineando la disponibilità dell’UE a fornire aiuto immediato alle autorità nazionali e locali non appena il governo di unità nazionale verrà nominato. Vale qui la pena ricordare che lo scorso giugno l’UE ha avviato la prima fase della missione PSDC EU NAVFOR Med, volta a contrastare il traffico illegale di migranti nel Mediterraneo. Per quanto, in questa prima fase, il mandato della missione preveda attività di raccolta di informazione sui networks di trafficanti da parte di navi europee, la futura formazione di un governo libico rappresenterà uno sviluppo di primaria importanza. Tale governo sarà infatti l’autorità legittimata a fornire, eventualmente, il consenso necessario a far sì che la missione dell’UE possa svolgere funzioni maggiormente incisive nel contrasto ai trafficanti all’interno delle acque territoriali libiche.
Con riferimento ai prossimi passi che saranno intrapresi, León ha raccomandato ai delegati di agire tempestivamente per la formazione di un governo di conciliazione nazionale. L’accordo prevede infatti che le varie fazioni procedano di comune accordo alla individuazione del Primo ministro e dei due Viceministri con poteri esecutivi, i cui nomi saranno indicati nell’allegato n. 1 all’accordo stesso. Queste figure avranno il compito di formare, decidendone all’unanimità i membri, il governo di conciliazione nazionale cui la prima parte del testo è dedicata (articoli 1-11). Sulla base di queste disposizioni, il governo, responsabile di fronte alla Camera dei rappresentanti di Tobruk, resterà in carica per un anno a partire dal voto di fiducia. Nel caso in cui il processo di definizione della nuova Costituzione libica richiedesse un periodo maggiore, il mandato del governo sarà esteso automaticamente di un ulteriore anno. Tra le funzioni del governo, indicate dall’art. 8 della bozza, oltre a quelle “classiche” di rappresentanza del paese nelle relazioni internazionali, si segnala che questo assumerà il comando supremo dell’esercito libico, e avrà inoltre il potere di dichiarare lo stato di emergenza nel paese, sentita la Camera dei rappresentanti.
Alla Camera dei rappresentanti, eletta nel giugno 2014, composta da 200 membri, e con sede a Tobruk, l’accordo riconosce la potestà legislativa esclusiva (non dando seguito quindi alle rivendicazioni del General National Congress di Tripoli) all’interno del periodo di transizione. Particolare rilevo va attribuito alle disposizioni contenute nell’art. 15 del progetto, per cui la Camera, dopo aver consultato l’Alto consiglio di Stato, dovrà decidere entro 30 giorni dall’approvazione dell’accordo circa la nomina di cariche apicali dell’amministrazione statale, in particolare: il Governatore della Banca centrale, il Presidente della Corte dei conti, il Presidente dell’Autorità di supervisione amministrativa, il Capo dell’Autorità anti-corruzione, il Presidente ed i membri dell’Alta commissione elettorale nazionale, il Presidente della Corte suprema. Una volta nominati, la rimozione di una di queste cariche sarà possibile soltanto se approvata dalla Camera con una maggioranza di due terzi. Infine, gli articoli 16 e 17 confermano la politica di “porta aperta” enunciata anche al termine dei negoziati nei confronti dei membri che, per ragioni politiche, al momento boicottino le riunioni dell’assemblea, prevedendo la possibilità per questi di ricominciare a partecipare ai lavori in qualsiasi momento. In particolare, l’art. 16, in un’ottica di conciliazione che potrebbe definirsi “retroattiva”, prevede la possibilità di convocare una riunione della Camera, eventualmente integrata dai membri al momento assenti, volta a considerare alcune questioni potenzialmente rilevanti per l’equilibrio tra le parti, quali, tra le altre, la revisione dei regolamenti di procedura, la formazione delle commissioni interne, e finanche l’eventuale revisione di alcune delle decisioni assunte dalla Camera nell’ultimo anno.
La terza istituzione fondamentale del nuovo Stato libico prevista dalla nuova bozza di accordo è l’Alto consiglio di Stato. Si tratta della massima istituzione consultiva, che porta avanti in piena indipendenza le proprie funzioni in linea con i principi contenuti nella dichiarazione costituzionale del febbraio 2011 come modificata dal presente accordo e dalla legislazione libica in vigore. La composizione dell’Alto consiglio di Stato è anch’essa esemplificativa dei tentativi di compromesso tra le varie fazioni del popolo libico: sulla base dell’art. 23 dell’accordo, infatti, è composto da 120 membri scelti attraverso consultazioni tra tutte le parti partecipanti del processo di dialogo in Libia. Di questi, tuttavia, 90 dovranno essere scelti tra membri del General National Congress di Tripoli attraverso un meccanismo la cui disciplina dovrà essere indicata nell’allegato n. 3 all’accordo.
Le parti successive dell’accordo sono dedicate alle misure di confidence building tra le parti, con specifico riferimento all’impegno a fornire al governo di pacificazione nazionale tutte le informazioni relative alle persone scomparse ed a rilasciare i prigionieri sotto loro custodia: ed alle questioni di sicurezza nel paese, tra cui la necessità di promuovere accordi di sicurezza provvisori relativi a misure di cessate il fuoco, ritiro di gruppi armati irregolari, contrasto a gruppi terroristici presenti nel paese (si fa riferimento all’ISIS, ad Ansar Al Sharia e ad Al-Qaeda), ed al controllo degli accordi di disarmo.
Il testo dell’accordo, comprensivo degli allegati, dovrà essere approvato dalla stessa Camera dei rappresentanti di Tobruk per poi entrare in vigore. Dall’analisi della struttura istituzionale delineata dalla nella bozza firmata, emerge come questa rappresenti un punto di partenza (più che di arrivo) di un processo negoziale, un momento di apertura di una nuova fase di dialogo che si presenta estremamente complessa, in quanto volta a definire una serie di dettagli di grande rilievo, e perciò potenzialmente suscettibili di turbare il consenso raggiunto. Tali questioni, la disciplina della maggior parte delle quali sarà contenuta all’interno dei cinque documenti allegati all’accordo, riguarderanno in particolare, come accennato sopra, la divisione tra le varie fazioni delle cariche di governo e delle cariche apicali delle strutture del nuovo Stato, la nomina dei membri dell’Alto consiglio di Stato e l’eventuale presenza, nonché il ruolo all’interno di esso, dei membri del GNC; oltre ai principi fondamentali relativi all’amministrazione delle finanze libiche ed alla gestione delle risorse naturali del paese.
Inoltre, la prospettiva che si possa procedere, sulla base della citata disposizione contenuta nell’art.16 della bozza, alla revisione di tutte le decisioni prese dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk a partire dall’agosto 2014, potrebbe dar luogo a complicazioni e nuovi conflitti tra le parti dell’accordo. Un riferimento, in particolare, può essere fatto alla figura del generale Khalifa Haftar, la cui rimozione dal ruolo di comandante dell’esercito nazionale libico è considerata come un prerequisito della piena pacificazione anche dai rappresentanti più moderati dell’Islam politico; laddove lo stesso Haftar è considerato parte integrante del futuro Stato libico da correnti maggioritarie interne al parlamento di Tobruk.
Malgrado queste possibili complicazioni, la firma dell’accordo rappresenta una tappa di rilevo per il futuro della Libia, in quanto il testo dell’accordo può essere considerato non solo un coronamento, con relativo successo, di un processo di dialogo inclusivo sotto la guida dell’ONU; ed un fondamento politico della democrazia in Libia; ma anche come un elemento di pressione sul governo ed il parlamento di Tripoli, la membership del quale potrebbe verosimilmente spaccarsi nel corso dei prossimi mesi, allontanando gli esponenti (dell’Islam politico, ma non solo) più moderati e meno inclini ad auto-escludersi dalla vita politica nascente nel paese, da quelle più intransigenti, che finirebbero così per essere marginalizzate.