Il caso Lubanga: la lotta contro l’impunità e l’art. 79 dello Statuto di Roma


Il 21 e il 22 luglio il Consiglio direttivo del Fondo di garanzia per le vittime della Corte penale internazionale (CPI) ha convocato una riunione straordinaria a l’Aja con l’obiettivo di dare origine ad una riflessione sui progressi compiuti nello sviluppo di una bozza di piano di attuazione delle riparazioni ordinate nel caso Thomas Lubanga Dyilo a favore degli ex bambini soldato dell’est della Repubblica democratica del Congo (RDC) e delle loro famiglie. Dopo aver fatto riferimento ai primi risultati delle consultazioni che il Segretario del Fondo ha tenuto con le comunità locali e le vittime che possono pretendere di beneficiare delle riparazioni, il Consiglio direttivo del Fondo ha approvato l’approccio, fortemente auspicato da più parti della comunità internazionale, volto ad assicurare che la bozza di piano d’esecuzione delle riparazioni sia rispettosa dei diritti e delle aspettative delle vittime dei reati commessi dall’ex militare Lubanga e che questo progetto abbia tra i suoi obiettivi primari quello di fornire una solida base per le riparazioni collettive affinché le vittime siano realmente risarcite per il pregiudizio subito.

Il 1° dicembre del 2014 la Camera di appello della CPI ha confermato il verdetto di colpevolezza ai danni di Lubanga, ex militare della RDC di etnia Hema, condannato, all’unanimità (ma con due opinioni “individuali”, una delle quali “dissenziente”), dalla Camera di prima istanza (I) della CPI il 14 marzo del 2012 per crimini di guerra. Nel dispositivo della sentenza della Camera si legge che Lubanga è dichiarato colpevole, ai sensi degli articoli 8, par. 2., lett. e), al. VII, e 25, par. 3, lett. a), dello Statuto, di crimini di guerra per aver coscritto e arruolato nelle Forze patriottiche per la liberazione del Congo (FPLC) bambini sotto i 15 anni e averli utilizzati per partecipare attivamente alle ostilità nella RDC orientale tra il 2002 e il 2003

Il 7 agosto 2012 la stessa Camera si era ugualmente pronunciata sui principi applicabili alle riparazioni per le vittime nel caso Lubanga. Il 3 marzo 2015, la Camera d’appello ha modificato l’ordinanza della Camera e ha incaricato il Fondo di garanzia per le vittime di presentare, entro sei mesi, alla Camera nuovamente costituita un progetto di piano di attuazione delle riparazioni collettive (tutti i documenti relativi alla decisione della Camera d’appello in materia di riparazioni sono disponibili online). In questo specifico contesto deve collocarsi dunque la riunione del 21 e 22 luglio del Consiglio direttivo del Fondo. Occorre precisare che questa è la prima volta che la CPI chiede al Fondo di preparare un simile piano, mettendo così in moto il meccanismo previsto dall’art. 79 dello Statuto di Roma in combinato disposto con l’art. 75 per cui la CPI può decidere che l’indennizzo concesso a titolo di riparazione sia versato tramite il Fondo di garanzia appositamente costituito.

Durante i mesi di maggio e giugno il Fondo ha organizzato una serie di missioni nella RDC e in particolare nel distretto dell’Ituri, situato nella parte orientale della RDC, al fine di avere un contatto diretto con le vittime beneficiarie del risarcimento. Il lavoro è stato condotto in stretta collaborazione con la cancelleria della CPI e in particolare con la sezione “Informazione e documentazione” e con quella “Partecipazione delle vittime e riparazioni”. Proprio quest’ultima si è, infatti, occupata di avviare un lavoro di prima mappatura delle vittime. Contestualmente, nel mese di maggio, un gruppo di esperti con competenze ed esperienze in diversi settori, alcuni funzionari del Segretariato del Fondo e del registro della CPI e i rappresentanti delle vittime si sono riuniti presso l’Università di Ulster a Belfast per esaminare, tra le altre cose, i metodi utilizzati per identificare le vittime, il legame di causalità così come i metodi per valutare il danno subito ai fini della riparazione. Si è inoltre sottolineata l’importanza di un progetto di piano di esecuzione delle riparazioni che non si focalizzi soltanto sulle procedure e sui contenuti tecnici ma che possa sufficientemente tradurre la specialità del caso in esame.

Alla fine di uno dei secoli più sanguinosi della storia dell’umanità, la comunità internazionale si è impegnata, proprio con l’adozione dello Statuto di Roma, a porre fine all’impunità degli individui macchiatisi di crimini atroci quali quelli di competenza della CPI, impunità che per decenni ha costituito una delle maggiori pecche del sistema internazionale. L’istituzione di una Corte penale internazionale permanente competente a giudicare sui più gravi crimini che toccano la comunità internazionale nel suo complesso in quanto violano il senso comune di umanità, deve ovviamente considerarsi un notevole ed importante passo in avanti in una logica di ricerca costante di giustizia per le vittime. Proprio ponendosi in una simile ottica, l’Assemblea degli Stati parte dello Statuto di Roma ha previsto l’istituzione del Fondo per le persone e le famiglie delle vittime di crimini di competenza della CPI. Il Fondo di garanzia per le vittime, istituito ex art. 79 dello Statuto di Roma, è dunque il primo fondo che si colloca in quella logica globale volta a porre fine all’impunità e a promuovere la giustizia da cui è scaturito lo stesso progetto della CPI.

Due sono le principali linee di azione del Fondo: eseguire ex art. 75 dello Statuto di Roma gli ordini di riparazione emessi dalla Corte contro una persona condannata e fornire un’assistenza generale alle vittime di crimini di competenza della CPI e alle loro famiglie. In questa seconda linea di intervento il Fondo si occupa di fornire supporto fisico, psicologico e materiale alle vittime, si sforza di sensibilizzare e mobilitare le persone, le idee e le risorse su tematiche fondamentali quali la giustizia, l’impunità e i crimina juris gentium. In questa ottica finanzia progetti innovativi attuati tramite intermediari al fine di alleviare il dolore dei sopravvissuti, troppo spesso dimenticati. Esso opera in stretta collaborazione con le ONG, le organizzazioni locali volte a promuovere i diritti umani, i governi e le agenzie delle Nazioni unite. Ad oggi il Fondo fornisce assistenza a oltre 80.000 beneficiari nel nord dell’Uganda e nella RDC in ottemperanza al suo mandato di assistenza generale alle vittime.

Il Fondo si colloca pertanto in una posizione unica per promuovere il ritorno ad una pace duratura, alla riconciliazione e al benessere nelle società lacerate dalla guerra e dai crimini più atroci. L’importanza del progetto del piano di riparazioni che il Fondo si appresta ormai a presentare alla CPI per il caso Lubanga, non sta tanto nel suo valore pecuniario quanto nel suo valore simbolico. Si potrebbe obiettare che così facendo si corre il rischio di ridurre il dolore delle vittime e delle famiglie ad un mero numero, “quantificando” ciò che difficilmente potrebbe al contrario rientrare in parametri matematici. Tuttavia, la logica volta ad ottenere giustizia e a combattere l’impunità non può prescindere dalla concretezza delle riparazioni senza le quali si rischia di non raggiungere lo stadio finale di quello stesso processo che ha dato origine alla CPI e che vede nella lotta all’impunità degli individui colpevoli di gravi atrocità una delle grandi conquiste del XXI secolo.