Accordi commerciali dell’Unione europea e tutela dei diritti umani in territori contesi: il caso Fronte Polisario c. Consiglio


Il 10 dicembre 2015, l’Ottava Sezione del Tribunale dell’Unione europea, composta dai giudici D. Gratsias, M. Kancheva e C. Wetter, ha  emesso una sentenza in materia di accordi con Stati terzi che sembra essere destinata ad avere conseguenze rilevanti per la politica commerciale comune dell’UE. Con tale sentenza, resa nella controversia Fronte Polisario c. Consiglio (causa T-512/12), il Tribunale ha annullato parzialmente la decisione  del Consiglio dell’8 marzo 2012 relativa alla conclusione di un accordo in forma di scambio di lettere tra l’UE ed il Marocco, modificativo dell’accordo di associazione del 1996 tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da un lato, e il Marocco, dall’altro. L’accordo oggetto della decisione de quo rafforza la liberalizzazione degli scambi di prodotti agricoli e ittici tra l’UE e il Marocco, sostituendo i Protocolli 1, 2 e 3 dell’accordo di associazione.

Non essendo prevista alcuna esclusione, come già l’accordo di associazione, esso risultava applicabile anche al territorio del Sahara Occidentale occupato dal Marocco dagli anni Settanta e da questo considerato parte integrante del proprio territorio (v. parr. 100-103 della sentenza). Di qui il ricorso in annullamento della decisione del Consiglio, che approvava l’accordo, entrato  in vigore il 1° ottobre 2012, da parte del Fronte Polisario (Frente Popoular para la liberación de Saguia el Hamra y Rio de Oro), il movimento di liberazione nazionale rappresentativo del popolo saharawi (ris. 34/37 del 21 novembre 1979 dell’Assemblea generale, par. 7). Il Fronte Polisario asseriva che l’applicazione dell’accordo al Sahara Occidentale rafforzava di fatto l’occupazione e lo sfruttamento delle risorse naturali del territorio da parte del Marocco in contrasto con gli interessi del popolo saharawi (parr. 143-144 e 189-190 della sentenza).

Il ricorso del Fronte Polisario è stato il primo mai proposto da un movimento di liberazione nazionale dinanzi alla Corte di giustizia dell’UE. Il Tribunale lo ha ritenuto ammissibile in base all’art. 263, par. 4, TFUE, che attribuisce a qualsiasi persona fisica o giuridica il diritto di proporre ricorso in annullamento contro atti vincolanti dell’Unione adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro atti regolamentari che la riguardano direttamente e non richiedono misure di esecuzione. Va notato come esso si sia limitato a riconoscere la legittimità del Fronte Polisario a proporre ricorso in base alla suddetta disposizione, senza interrogarsi e pronunciarsi sul suo status di movimento di liberazione nazionale e sulla soggettività internazionale che ne discende.

Nella sentenza, il Tribunale chiarisce innanzitutto la nozione di «persona giuridica» ex art. 263, par. 4, affermando che questa ricomprende i soggetti che, anche se non titolari di capacità giuridica secondo il diritto interno di uno Stato, siano dotati dell’«autonomia necessaria per agire come entità responsabile nell’ambito dei rapporti giuridici». Prova di tale autonomia e responsabilità in capo al Fronte Polisario sarebbero la partecipazione ai negoziati di pace con il Marocco in ambito ONU e l’accordo di pace concluso con la Mauritania il 10 agosto 1979 (parr. 51-54 della sentenza).

In secondo luogo, i giudici riconoscono nella decisione impugnata un atto legislativo che riguarda direttamente e individualmente il Fronte Polisario, sulla base di tre argomentazioni principali: a) l’accordo contiene disposizioni che hanno effetti diretti, comportando obblighi chiari e precisi che non richiedono l’adozione di atti di esecuzione ulteriori; b) tali disposizioni producono effetti sul territorio del Sahara Occidentale, in quanto determinano le condizioni alle quali dei prodotti agricoli e ittici debbano essere esportati da tale territorio verso l’Unione, o importati in tale territorio dall’Unione; c) il Fronte Polisario è l’unico interlocutore del Marocco nei negoziati sotto l’egida dell’ONU circa lo status definitivo del suddetto territorio (parr. 107-113). Interrogati dal Tribunale, sia il Consiglio che la Commissione hanno in effetti ammesso che l’accordo in questione veniva de facto applicato al territorio del Sahara Occidentale. La Commissione ha, inoltre, confermato la presenza nella lista delle imprese marocchine esportatrici dei prodotti cui si applica l’accordo di aziende site nel territorio del Sahara Occidentale (parr. 86-87).

Passando a considerare il merito del ricorso, il Fronte Polisario invocava l’annullamento della decisione del Consiglio, nella parte in cui approvava l’applicazione dell’accordo alle risorse agricole ed ittiche provenienti dal territorio del Sahara Occidentale, in quanto comportante  la violazione di principi e norme fondamentali del diritto internazionale e del diritto dell’UE. In particolare, secondo il Fronte Polisario, la decisione, approvando l’applicazione dell’accordo al Sahara Occidentale, avrebbe violato il diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi, i diritti umani fondamentali degli individui appartenenti al popolo saharawi, i valori su cui si fonda l’Unione e i principi della sua azione esterna (parr. 115-116).

Il Tribunale ha respinto tutti i motivi di ricorso addotti dal Fronte Polisario, ma è giunto comunque al risultato cui questi tendevano, annullando la decisione nella parte in cui approvava l’applicazione dell’accordo al Sahara Occidentale (par. 247). Il Tribunale chiarisce innanzitutto che nessuna norma del diritto internazionale e del diritto dell’UE pone un divieto assoluto per l’Unione di stipulare accordi con Stati terzi suscettibili di essere applicati ad un territorio conteso, come quello de quo (par. 215). Esso sottolinea piuttosto che il Consiglio gode di un vasto potere discrezionale in merito alla conclusione di accordi con Stati terzi che siano destinati ad applicarsi ad un territorio conteso e che, nell’esercizio di tale potere, può essere censurato solo in quanto commetta un manifesto errore di valutazione (parr. 223-224). Nel caso di specie – il Tribunale afferma – il Consiglio avrebbe dovuto esaminare, con accuratezza ed imparzialità, tutti gli elementi pertinenti e assicurarsi che dallo svolgimento delle attività previste dall’accordo non derivassero violazioni dei diritti fondamentali della popolazione saharawi (par. 228). Più precisamente, esso avrebbe dovuto accertarsi «che non vi fossero indizi di uno sfruttamento delle risorse naturali del territorio del Sahara Occidentale sotto il controllo marocchino che potesse svolgersi a danno dei suoi abitanti e che potesse arrecare pregiudizio ai loro diritti fondamentali» (par. 241). Tale sfruttamento, ove accertato, avrebbe potuto risultare «indirettamente incoraggiato» dalla stipulazione dell’accordo (par. 238). Ebbene, secondo i giudici, il Consiglio avrebbe emanato la decisione che approvava l’accordo, senza condurre il suddetto esame, compiendo così un manifesto errore di valutazione (par. 244).

In effetti, una valutazione accurata ed imparziale avrebbe probabilmente consentito al Consiglio di rilevare che l’applicazione dell’accordo al territorio del Sahara Occidentale avrebbe avuto le suddette conseguenze. Al riguardo, va segnalato il rapporto depositato in giudizio dal Fronte Polisario, secondo cui lo sfruttamento delle risorse agricole del Sahara Occidentale da parte del Marocco avviene contro il suo consenso, ad opera di imprese straniere ed è destinato unicamente all’esportazione, senza alcun vantaggio per la popolazione locale (par. 243).

Per quanto concerne i diritti potenzialmente lesi dall’applicazione dell’accordo al Sahara Occidentale, il Tribunale fa riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che oggi ha lo stesso valore del TUE e del TFUE (art. 6, par. 1, TUE), ed elenca: il diritto alla dignità umana, il diritto alla vita, il diritto all’integrità della persona, il divieto di schiavitù e del lavoro forzato, la libertà professionale, la libertà d’impresa, il diritto di proprietà, il diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque, il divieto del lavoro minorile e la protezione dei giovani sul luogo di lavoro (par. 228).

È interessante notare come il Tribunale non abbia considerato la clausola sulla tutela dei diritti umani e dei principi democratici presente nell’accordo di associazione del 1996 tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da un lato, e il Marocco, dall’altro, (art. 2), uno strumento sufficiente a garantire la tutela dei diritti umani del popolo saharawi. L’inserimento di una clausola sul rispetto dei diritti fondamentali negli accordi stipulati dall’UE con Stati terzi è una prassi ormai consolidata che ha avuto inizio nei primi anni Novanta. In particolare, una tale clausola è di regola presente proprio negli accordi di associazione, e richiede generalmente alle parti contraenti di rispettare, nelle loro politiche interne ed esterne, i diritti umani e il principio democratico come “elementi essenziali” delle relazioni UE-Stati terzi. (Bartels, Human Rights and Sustainable Development Obligations in EU Free Trade Agreements, in Legal Issues of Economic Integration, 2013, p. 297, p. 299 ss.). Il Fronte Polisario asseriva che la decisione del Consiglio doveva essere annullata anche in quanto contraria all’art. 2 dell’accordo di associazione del 1996, contenente la clausola di cui si è detto. Il Tribunale rileva tuttavia come le parti dell’accordo oggetto della decisione impugnata siano le medesime dell’accordo di associazione. Perciò l’eventuale contrasto tra le disposizioni dei due accordi non determinerebbe alcuna illegittimità, potendo l’Unione e il Marocco sempre modificare l’accordo esistente attraverso un nuovo accordo (parr. 193-194).

Va rilevato, però, che il rispetto e la promozione dei diritti umani fondamentali costituisce uno degli obiettivi dell’azione esterna dell’UE, (art. 21 TUE), in base ai quali le istituzioni dell’Unione devono condurre la politica commerciale comune (art. 207, par. 1, TFUE). L’attuazione di una politica commerciale comune che ignori le violazioni dei diritti fondamentali potenzialmente derivanti dalla conclusione di accordi con Stati terzi, le incoraggi anche indirettamente o addirittura tragga da esse vantaggio, tradirebbe chiaramente il suddetto obiettivo. È in quest’ottica che nella sentenza il Tribunale afferma l’esistenza di un limite alla discrezionalità del Consiglio in sede di conclusione dell’accordo con il Marocco, modificativo dell’accordo di associazione del 1996, rappresentato proprio dal rispetto dei diritti fondamentali del popolo saharawi. Se ne deduce un dovere in capo alle istituzioni dell’Unione di astenersi dal compiere qualsiasi azione che possa facilitare la violazione di tali diritti. È in questa deduzione che risiede il carattere innovativo della sentenza. È da chiedersi se quest’ultima possa configurarsi come una sorta di precedente per contestare altri accordi commerciali stipulati dall’Unione con Stati terzi che possono, anche indirettamente, incoraggiare la violazione dei diritti fondamentali nei territori in cui trovano applicazione, ancorché non si tratti di territori contesi. Si pensi ad esempio agli accordi conclusi con i Paesi in via di sviluppo, dove le condizioni dei lavoratori non rispondono agli standard previsti dalle norme sui diritti umani del diritto dell’Unione (in questo senso v. Geraldo Vidigal, Trade Agreements, EU Law, and Occupied Territories (2): The General Court Judgment in Frente Polisario v Council and the Protection of Fundamental Rights Abroad, EJIL:Talk!, 11.12.2015). Le implicazioni per le relazioni commerciali europee sarebbero di enorme rilievo.

Il Tribunale tace sull’importante aspetto relativo al diritto all’autodeterminazione del Sahara Occidentale, che nella sua accezione più ampia comprende il diritto del popolo saharawi alla sovranità sulle risorse naturali del territorio. Al riguardo, va segnalato che già nel 1975 la Corte internazionale di giustizia aveva affermato che i legami storici del Marocco e della Mauritania con il Sahara Occidentale non erano tali da intaccare il processo di decolonizzazione e l’esercizio del diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi in conformità con la  Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai popoli e ai paesi sottoposti a dominio coloniale (ris. 1514 (XV) del 14 dicembre 1960 dell’Assemblea generale) (Sahara occidental, avis consultatif, C.I.J. Recueil 1975, p. 12, p. 68, par. 162). Quanto al diritto alla sovranità sulle risorse naturali, questo è espressamente riconosciuto a tutti i popoli dalla Dichiarazione sulla sovranità permanente sulle risorse naturali (ris. 1803 (XVII) del 14 dicembre 1962 dell’Assemblea generale, par.1), dall’art. 1 dei due Patti delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 e dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sul diritto allo sviluppo del 1986 (ris. 41/128 del 4 dicembre 1986 dell’Assemblea generale, art. 1 par. 2).

 Il Tribunale si limita a chiarire che né la decisione impugnata né l’accordo che ne costituisce l’oggetto implicano il riconoscimento da parte dell’Unione della sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale e che non equivale a un siffatto riconoscimento l’applicazione dell’accordo ai prodotti originari di questo territorio (par. 202 della sentenza).

In realtà, una riflessione sul diritto all’autodeterminazione dei saharawi avrebbe potuto condurre il Tribunale a considerare l’accordo in questione invalido per contrasto con una norma imperativa del diritto internazionale. Il diritto all’autodeterminazione è sancito da una norma istitutiva di obblighi erga omnes (Timor oriental (Portugal c. Australie), arrêt, C.I.J. Recueil 1995, p. 90, p. 102, par. 29; Conséquences juridiques de l’edification d’un mur dans le territoire palestinien occupé, C.I.J. Recueil 2004, p. 136, p. 172, par. 88, e p. 199, par. 156), ed è ormai considerato dai più una norma di ius cogens (v. il commento all’art. 40 nel Commentario al Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati della Commissione del diritto internazionale). Una delle conseguenze giuridiche che discendono dal diritto all’autodeterminazione è il dovere in capo a tutti gli Stati di non riconoscere come legittima la situazione che ne impedisce la realizzazione e di non prestare aiuto e assistenza nel mantenimento di tale situazione, come riconosciuto tra l’altro dalla Corte Internazionale di Giustizia nel parere sul Muro in Palestina (Conséquences juridiques de l’edification d’un mur dans le territoire palestinien occupé, cit., par. 159). Se così è, l’accordo oggetto della decisione impugnata potrebbe essere considerato invalido, perché in contrasto con una norma cogente in quanto, indirettamente, costituirebbe un vantaggio per il Marocco che, occupando il Sahara Occidentale, impedisce la realizzazione del diritto all’autodeterminazione dei saharawi, (in questo senso, v. N. Bernaz, E. Dominguez Redondo, Guest Post: General Court of the European Union annuls the EU-Morocco Free Trade Agreement on Human Rights Grounds but Forgets Self-Determination, Opinio juris, 16.12.2016).

A breve il Tribunale dovrà pronunciarsi su un’altra controversia relativa allo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara Occidentale da parte del Marocco. Si tratta del ricorso in annullamento presentato dal Fronte Polisario (causa T-180/14) contro la decisione del Consiglio del 16 dicembre 2013 relativa alla conclusione del Protocollo tra l’UE e il Regno del Marocco che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di partenariato nel settore della pesca fra l’UE e il Regno del Marocco. Il Protocollo non esclude dal suo ambito di applicazione il territorio del Sahara Occidentale, né è stato consultato durante la sua negoziazione il Fronte Polisario come rappresentante del popolo saharawi (v. sul caso E. Milano, Il nuovo Protocollo di pesca tra Unione europea e Marocco e i diritti del popolo sahrawi sulle risorse naturali, in Diritti umani e diritto internazionale, 2014, pp. 505-512). Fermo restando che la sentenza qui analizzata vincola soltanto le parti e non ha valore di precedente, è ragionevole supporre che il Tribunale si preoccuperà di verificare anche in questo caso se il Consiglio abbia effettuato una previa valutazione degli effetti dell’accordo sui diritti fondamentali dei saharawi.

Intanto, il 19 febbraio 2016, il Consiglio, ha impugnato la sentenza del Tribunale dinanzi alla Corte di giustizia (causa C-104/16 P). Esso ha chiesto alla Corte di annullare la sentenza del Tribunale e di pronunciarsi in via definitiva sul ricorso in annullamento del Fronte Polisario rigettandolo.