
Il Gruppo di Stati contro la corruzione (Groupe d’États contre la corruption, GRECO) del Consiglio d’Europa ha pubblicato oggi il rapporto sulla prevenzione della corruzione in Italia all’interno del Parlamento e della magistratura.
Il Gruppo è stato costituito nel 1999 in seno al Consiglio d’Europa con l’obiettivo di monitorare l’implementazione degli standard anti-corruzione dello stesso Consiglio, e fornire una piattaforma per la condivisione delle best practices in materia. Oggi aderiscono a questo gruppo 48 Stati europei e gli Stati Uniti; l’Italia vi ha aderito nel giugno 2007.
Il rapporto relativo all’Italia, pubblicato oggi, è il prodotto della quarta procedura di valutazione, inaugurata nel 2012, e conclusasi nel 2016. L’Italia, ai sensi del Regolamento interno del Gruppo, ha tempo fino al 30 aprile 2018 per rendere note le misure adottate per mettere in atto le raccomandazioni contenute nel rapporto.
La valutazione ha riguardato tanto i membri di entrambi i rami del Parlamento, indifferentemente dalla loro provenienza politica e territoriale; quanto gli “attori” della giustizia, dai magistrati requirenti a quelli giudicanti (togati e non), a prescindere dal tipo di corte.
Dal punto di vista metodologico, la valutazione è stata condotta sulla base dei dati raccolti attraverso questionari e interviste realizzati a membri del governo, parlamentari (attualmente in carica ed ex), magistrati (giudicanti e requirenti), professionisti, giornalisti, rappresentanti della società civile, professori universitari.
Il giudizio del Gruppo, rispetto alle norme anti-corruzione adottate negli ultimi anni nel nostro Paese, è positivo. Secondo il rapporto, infatti, a partire dalla legge c.d. Severino (legge 6 novembre 2012, n. 190), si è inaugurata una fase di lotta preventiva alla corruzione, che è proseguita nel 2014 con le norme sulla semplificazione e la trasparenza amministrativa (legge 11 agosto 2014, n. 114) e nel 2015 con le nuove disposizioni in materia di reati contro la pubblica amministrazione (legge 27 maggio 2015, n. 69). Un ruolo importante in questo contesto, per via della sua “guida proattiva e determinate” (si legge nel rapporto), è stato svolto dall’Autorità Nazionale Anti-Corruzione (ANAC), nata nel 2012 e rafforzata successivamente, con l’obiettivo dichiarato di prevenire il fenomeno corruttivo all’interno della PA.
Con riferimento al Parlamento, il rapporto sottolinea come in questi anni siano state adottate misure positive volte ad aumentare la trasparenza dell’attività, ma manca un codice di condotta formale che – secondo la prima raccomandazione del Gruppo – dev’essere integrato nei Regolamenti di Camera e Senato. Stesso discorso vale per la disciplina relativa alle lobby e ai gruppi di interessi.
Per quanto riguarda i potenziali conflitti di interesse dei parlamentari, la seconda raccomandazione conclusiva del rapporto parla chiaro: regole chiare ed applicabili devono essere adottate, unitamente ad una sistematizzazione dei regimi di ineleggibilità e incompatibilità (le cui norme oggi sono disperse in diverse fonti), così da assicurare una verifica più efficace e veloce. I potenziali conflitti di interesse – nota il rapporto – devono essere prevenuti, non solo durante, ma anche dopo il mandato, con restrizioni precise per gli incarichi e i ruoli che si possono occupare.
Un più robusto set di restrizioni dev’essere poi previsto per i parlamentari in materia di donazioni, doni, favori e benefit di vario tipo, così come delle regole di integrità devono essere implementate, anche con l’ausilio di attività di formazione dedicate (sesta raccomandazione).
Quanto alla magistratura, il rapporto rileva come “l’indiscussa reputazione, la professionalità e l’impegno dei singoli giudici e pubblici ministeri siano in qualche modo offuscati dai dubbi dell’opinione pubblica circa l’efficienza del sistema” nel garantire pene certe a coloro i quali risultino colpevoli di corruzione.
Centri di corruzione diffusa – rileva il rapporto – sono in Italia le commissioni tributarie. Per questo motivo, il Gruppo raccomanda l’adozione di politiche volte a prevenire e rintracciare la corruzione e i potenziali conflitti di interessi all’interno della giustizia tributaria, migliorando il controllo sui soggetti che in essa operano.
Una questione sui cui il rapporto insiste molto è quella dell’attività politica svolta dai magistrati, la quale – sottolinea il Gruppo – va limitata per via legislativa, dato il suo impatto sull’imparzialità e l’indipendenza della magistratura. Analogamente, il codice di condotta di cui l’Associazione Nazionale dei Magistrati (ANM) si è dotata nel 1994 va arricchito con linee-guida ed indicazioni pratiche, valide anche per i magistrati non iscritti a guisa di “codice dell’etica giudiziaria”.
Per assicurare l’efficienza della giustizia, il rapporto auspica, infine, una celere approvazione della riforma civile e penale, che riguardi anche l’appello e i termini della prescrizione. A questo si aggiunga un’analisi dei costi e del personale così da provvedere, se necessario, ad una riallocazione delle risorse, e un maggiore controllo, esercitato dal CSM, relativamente all’organizzazione dei lavori all’interno delle procure, così da aumentare trasparenza e oggettività nella assegnazione e gestione dei casi.