
Lo scorso 27 gennaio la Corte costituzionale, con ordinanza n. 24, ha disposto – in via pregiudiziale, ex art. 267 TFUE – un ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea, relativamente all’interpretazione dell’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, contenente disposizioni in materia di “lotta contro la frode”, secondo la rubrica del Capo VI del Trattato. La pronuncia della Corte si inserisce nel solco tracciato dal noto caso Taricco, in relazione ai tempi di prescrizione nei casi di frode grave in materia IVA. Vediamo la vicenda nel dettaglio.
Il caso Taricco e le nuove questioni dinanzi alla Corte
La Corte costituzionale, in due procedimenti distinti, è stata investita della medesima questione di legittimità costituzionale, inerente l’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, come interpretato dalla sentenza della Grande sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea dell’8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco. Rispetto a quest’ultimo, molto è stato scritto (ex multis, Faggiani, Ius puniendi europeo v. controlimiti. Riflessioni a margine del caso Taricco, in Studi sull’integrazione europea, 2016, p. 509 ss.); tuttavia, in questa sede è sufficiente ricordare alcuni aspetti salienti.
Nel gennaio 2014, il Tribunale di Cuneo, nell’ambito di un procedimento penale a carico di diversi soggetti (inter alia il sig. Ivo Taricco, divenuto suo malgrado eponimo di tutta la vicenda), ai quali veniva imputata la costituzione e l’organizzazione di un’associazione allo scopo di commettere più frodi in materia di IVA, noti come “frodi carosello”, ha proposto una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo, perché “secondo il giudice del rinvio, è certo che tutti i reati [contestati], ove non ancora prescritti, lo saranno […] prima che possa essere pronunciata sentenza definitiva nei confronti degli imputati. Da ciò conseguirebbe che questi ultimi, accusati di aver commesso una frode in materia di IVA per vari milioni di euro, potranno beneficiare di un’impunità di fatto dovuta allo scadere del termine di prescrizione” (punto 22 della sentenza Taricco).
La Corte UE si è espressa imponendo sostanzialmente al giudice nazionale di disapplicare gli articoli 160, co. 3, e 161, co. 2, del codice penale, perché il loro combinato disposto è idoneo “a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea”. Nello specifico, le disposizioni del codice penale contestate dalla Corte, considerate nel loro insieme, prevedono che, in caso di più atti interruttivi, i termini prescrizionali non possano allungarsi per più di un quarto del termine iniziale, ovvero un termine comunque troppo breve – secondo la lettura della Corte – per la tutela degli interessi finanziari dell’UE e dello Stato membro.
A poco più di un anno dall’emissione della sentenza da parte della Corte UE, la nostra Corte costituzionale si è trovata – come detto in apertura di paragrafo – a pronunciarsi su due questioni in toto assimilabili all’affare Taricco. In un caso la Corte di appello di Milano e in un altro la Corte di cassazione, III sez. pen. (rispettivamente con ordinanza del 18 settembre 2015 e dell’8 luglio 2016), hanno investito la Consulta della questione di legittimità costituzionale perché – come scrive la stessa Consulta nell’ordinanza di risposta – entrambi dubitano del fatto che la disapplicazione imposta dalla sentenza della Corte UE “sia compatibile con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona, espressi dagli artt. 3, 11, 24, 25, secondo comma, 27, terzo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, con particolare riguardo al principio di legalità in materia penale”.
L’ordinanza della Corte costituzionale
I remittenti hanno dunque sollecitato la Corte costituzionale a “bloccare” la disapplicazione imposta dal giudice europeo, auspicando l’attivazione dei contro-limiti di cui sopra (particolarmente incisiva l’ordinanza della Corte di appello di Milano, la quale richiama esplicitamente la sentenza Granital della Corte costituzionale). Soluzione, quest’ultima, caldeggiata anche dalla difesa di una delle parti dinnanzi alla Consulta, nonché dalla letteratura (per tutti, Bassini, Prescrizione e principio di legalità nell’ordine costituzionale europeo. Note critiche alla sentenza Taricco, in D’Andrea et al. (a cura di), La Carta dei diritti dell’Unione europea e le altre Carte (ascendenze verticali e mutue implicazioni), Torino, 2016, p. 357 ss.).
Ciononostante, la Corte ha optato per una soluzione per così dire “salomonica”: con l’ordinanza n. 24 del 2017, essa ha sottoposto alla Corte di giustizia dell’Unione europea le seguenti questioni di interpretazione, chiedendo che la decisione sia presa con procedimento accelerato:
“se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata, […] [o] anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità” (cors. agg.);
“se la sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco, debba essere interpretata nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro” (cors. agg.).
La decisione presa dai supremi giudici risulta – pertanto – piuttosto singolare, perché ha di fatto disatteso le aspettative di quanti fossero certi, quanto meno in ragione della giurisprudenza precedente (cfr. sentenza 236/2011), dell’attivazione automatica dei contro-limiti. Non che questi ultimi siano stati messi da parte, anzi: la Corte li richiama espressamente nelle richieste interpretative, a guisa di monito per i giudici della Corte di Lussemburgo, la cui decisione sarà necessario attendere affinché la questione giunga ad una conclusione.