
Continua la saga delle cosiddette “discariche pre-esistenti” che vede contrapporsi, da quasi 18 anni ormai, la Commissione europea e l’Italia. Il 17 maggio scorso – infatti – il nostro Paese è stato deferito alla Corte di giustizia dell’Unione europea «per la mancata bonifica o chiusura di 44 discariche che costituiscono un grave rischio per la salute umana e per l’ambiente», si legge nel comunicato della Commissione. Questo è solo l’ultimo capitolo di una lunga storia che vale la pena di raccontare.
Tutto comincia con la Direttiva 1999/31/CE del Consiglio del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti, la quale – all’articolo 14 – dettava una normativa molto precisa per quanto riguarda le c.d. “discariche pre-esistenti”, cioè quelle discariche «che abbiano ottenuto un’autorizzazione o siano già in funzione al momento del recepimento della presente direttiva», il cui termine per il recepimento era fissato al 16 luglio 2001 (ex articolo 18 della medesima direttiva). L’articolo in parola imponeva agli Stati membri di conformare tali discariche alle prescrizioni della direttiva, seguendo una specifica procedura (descritta alle lettere a), b), c) dell’articolo 14), entro otto anni dal termine per il recepimento della direttiva stessa (significativamente entro il 16 luglio 2009).
Ciononostante, il recepimento della direttiva da parte dell’Italia è avvenuto soltanto nel 2003 con il Decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, indi oltre i termini prescritti. Non solo: l’Italia non ha tenuto conto neanche del termine per la conformazione delle discariche, tant’è che la Commissione – nel settembre 2009 – rilevava la presenza di 187 discariche pre-esistenti non ancora regolarizzate, divenute “solo” 102 nel 2011. Conseguentemente, la Commissione ha ritenuto sussistessero i presupposti per l’attivazione di una procedura d’infrazione ex articolo 258 del TFUE (procedura n. 2011/2215), ad oggi tuttora pendente. La fase di pre-contenzioso è stata ampiamente esperita, essendo stata inviata la lettera di messa in mora (nel febbraio 2012) e conseguente parere motivato (nel novembre 2012). Nel giugno 2015 la Commissione ha provveduto allora a notificare un ulteriore parere motivato, essendo decorso da (praticamente) 6 anni il termine ultimo per l’adeguamento delle discariche, e risultando ancora presenti 50 discariche non conformi alle prescrizioni della summenzionata direttiva.
Dalla data dell’ultimo parere motivato ad oggi sono trascorsi quasi due anni e il numero delle discariche non conformi si è ridotto di sole 6 unità. Pertanto la Commissione si è decisa – come detto in exordio – ad avviare la fase di contenzioso, deferendo l’Italia alla Corte di giustizia, a norma dell’articolo 260 del TFUE. La palla passa dunque alla Corte di Lussemburgo, la quale dovrà accertare la responsabilità dell’Italia con riferimento al mancato recepimento della direttiva e decidere se comminare una sanzione pecuniaria, di ammontare in linea con i criteri definiti dalla Commissione: il caso è infatti quello descritto dall’articolo 260, paragrafo 3, del TFUE.
Il comportamento posto in essere dal nostro Paese rispetto alla questione non è una sorpresa. I più attenti lettori ricorderanno infatti che, già nel 2014, l’Italia è stata condannata al pagamento di sanzioni pecuniarie, per la violazione delle medesime disposizioni per cui ora sarà nuovamente giudicata, e – nello specifico – per le c.d. discariche abusive. Tra l’altro la condanna del 2014, comminata dalla Corte nell’ambito della causa C-196/13, è stata “sollecitata” dalla Commissione perché l’Italia non si era conformata in toto alla precedente sentenza emessa dai giudici europei nel 2007 (causa C-135/05).
Nel suo comunicato la Commissione ricorda infine che questo procedimento «fa parte di un esercizio orizzontale che interessa altri sei Stati membri» (Bulgaria, Cipro, Spagna, Romania, Slovenia e Slovacchia), laddove, nei confronti dei primi tre, «la Corte ha già pronunciato sentenze di condanna».