Fissata al 1° agosto l’entrata in vigore del Protocollo n. 16 della CEDU


Il 1° agosto 2018 entrerà in vigore il Protocollo n. 16 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), già approvato il 2 ottobre 2013 a Strasburgo e successivamente aperto alla firma e alla ratifica da parte degli Stati parte della CEDU. La quota di dieci Stati, fissati come numero minimo di ratifiche necessarie all’entrata in vigore, è stata raggiunta il 12 aprile di quest’anno, giorno nel quale la Francia ha depositato la propria ratifica. Proprio da quel giorno decorrono i termini per l’entrata in vigore, fissati al “primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data in cui dieci Parti contraenti della Convenzione avranno espresso il loro consenso a essere vincolate dal Protocollo”. Gli altri Stati ad aver ratificato il Protocollo in questione, oltre alla Francia, sono l’Albania, l’Armenia, l’Estonia, la Finlandia, la Georgia, la Lituania, la Repubblica di San Marino, la Slovenia e l’Ucraina (l’Italia lo ha solo firmato il 2 ottobre 2013).

Il Protocollo n. 16, costituito da 11 articoli, si pone come strumento giuridico profondamente innovativo per quanto concerne le competenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.

L’art. 1, par. 1, del Protocollo sancisce infatti che “[l]e più alte giurisdizioni di un’Alta Parte contraente […] possono presentare alla Corte delle richieste di pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli”. Al secondo paragrafo si afferma che la “giurisdizione che presenta la domanda” (che, giusta l’art. 10, viene designata per iscritto da ciascuna Alta Parte contraente al momento del deposito della firma o della ratifica) può richiedere alla Corte EDU un parere consultivo relativo ad una causa sottoposta al proprio giudizio. Viene così, sostanzialmente, sancita l’acquisizione da parte della Corte EDU di uno strumento “quasi pregiudiziale”, tipico già della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE).

Il parere consultivo in questione verrà sottoposto ad un collegio composto da cinque giudici della Grande Camera, il quale deciderà se accogliere o rigettare lo stesso (in quest’ultimo caso con motivazione). Di questo collegio fa inoltre parte di diritto il giudice eletto per l’Alta Parte contraente coinvolta.

La sostanziale introduzione del rinvio quasi-pregiudiziale ha come diretta conseguenza la possibile sospensione del procedimento interno allo Stato coinvolto. Il parere espresso dal collegio dovrà, stante l’art. 4, essere motivato. A “stemperare” questo incremento di attribuzioni della Corte EDU vi è tuttavia l’art. 5 del Protocollo, che definisce tali pareri come non vincolanti.

L’approvazione e l’entrata in vigore del Protocollo n. 16 potrebbero determinare ulteriori conseguenze indirette, innestandosi in un contesto storico-giuridico più ampio, che già da anni vede sussistere crescenti attriti tra giurisdizioni internazionali. Si tratta, in particolar modo, di quelli esistenti tra la CGUE e la Corte EDU stessa.

Già l’approvazione del Protocollo n. 14, che ha sancito la possibilità per l’Unione europea di aderire alla CEDU, è stata l’anticamera di crescenti dissapori proprio tra le due Corti, in vista di un possibile “conflitto”. I negoziati per l’adesione dell’UE alla CEDU, infatti, iniziati con determinazione e sotto ogni buon auspicio, si sono arenati a più riprese e sono stati, essenzialmente a fronte della posizione espressa dalla CGUE stessa, quasi del tutto seppelliti dopo che, nel dicembre 2014, essa ha emesso un parere nettamente negativo dal punto di vista tecnico-giuridico (arrivando ad affermare “l’inidoneità del progetto di accordo a preservare le caratteristiche tipiche dell’ordinamento dell’Unione europea”: parere 2/13 sull’adesione dell’Unione europea alla CEDU del 18 dicembre 2014).

L’introduzione in capo alla Corte EDU dello strumento di un rinvio quasi-pregiudiziale potrebbe aggravare le tensioni già esistenti tra le due Corti, determinando una reiterata “ostilità” da parte della Corte di Lussemburgo nei confronti di quella di Strasburgo. Questo avverrebbe in particolar modo nella misura in cui si verificasse un “conflitto” tra le due Corti in tema di diritti umani, soprattutto nel rapporto che la loro tutela intrattiene con la necessità, cara alla Corte di giustizia, di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione. A seguito dell’entrata in vigore del Protocollo n. 16 negli Stati membri dell’Unione che l’hanno ratificato, infatti, si potrebbe incorrere in “doppi” rinvii pregiudiziali, gli uni alla CGUE e gli altri alla Corte EDU, in materia analoga e con conseguente possibile aumento degli attriti tra le due. Unico strumento utile a stemperare le tensioni è la già citata previsione dell’art. 5 del Protocollo, che sancisce che i pareri della Corte EDU, al contrario delle sentenze della CGUE, non sono, evidentemente, vincolanti.

L’approvazione del Protocollo n. 16, di per sé innovativa e funzionale al buon andamento dei lavori della Corte EDU, nonché potenzialmente positiva per l’incremento della tutela dei diritti fondamentali, va tuttavia contestualizzata e analizzata alla luce dei rapporti non facili ancora intercorrenti tra la CGUE e la Corte di Strasburgo, e alle conseguenze che questo potrebbe comportare.